Pagine

martedì 3 luglio 2012

essere un radicale



Sicuramente riconoscerete questo simbolo, anche se forse non sapete il suo nome:
Quando scrivo questo simbolo sulla lavagna in classe e chiedo che cos’e’, la risposta e’ sempre la stessa: “La radice quadrata”.
Rispondo “Sì, la sua funzione è di estrarre la radice, sia quadrata sia altra radice. Ma come si chiama?”
Segue prolungato silenzio, seguito da: “Il simbolo della radice quadrata”.
Do’ il via a una fragorosa risata.
“Davvero? Nessuno ha fatto matematica al primo superiore?”
Risata nervosa.
“Ho offeso tutti qui dentro al primo minuto del nostro incontro” Dico.
“Ora che questa cosa me la sono levata di mezzo, possiamo procedere.”
Lunga pausa prima della mia risposta: “Si chiama un radicale”.
Altra lunga pausa prima che io riveli il punto di questo esercizio.
“Si chiama un radicale perché conduce alla radice. Questa, inoltre, è la definizione di una radicale: cioè di chi va alla radice o all’origine.”
Utilizzo questo aneddoto per presentarmi alla classe.
Io, sottolineo, sono un radicale.

E mentre questa cultura ha convinto la maggior parte della gente che un radicale è una cosa non buona, simile all’anarchia, non è affatto una cosa cattiva, ed è ben diversa da ciò che la maggior parte della gente crede.
Su questo argomento, risuonano in me le parole di H. L. Mencken: “La nozione che un radicale è uno che odia il suo paese è ingenua e alquanto stupida.
Un radicale invece è uno che ama il suo paese più degli altri e soffre più degli altri quando lo vedo allo sfacelo. Non è un cattivo cittadino che si è votato al crimine; è un buon cittadino portato alla disperazione.”

IL RESTO DA QUI

Nessun commento:

Posta un commento